UN DOLCE RITORNO
Di Giusi Marchetta
“Assaggia.”
Il cuore gli batte forte e non sa cosa farsene delle sue braccia, così le tiene incrociate sul tavolo.
Lei gli passa il cucchiaino: sta aspettando. Ci sono tante cose da dire, adesso.
Prima di entrare in casa gli sembrava che si sarebbero esaurite tutte nello spazio che separa l’ingresso dalla cucina. Invece sono stati zitti.
Infila il cucchiaino nella parte bianca della farcitura. Suo padre avrebbe fatto lo stesso.
Il sapore del metallo è la prima cosa che sente, poi c’è solo il dolce che si scioglie sulla lingua
e gli sveglia una parte del cervello che credeva addormentata.
“Lo so perché sei venuto” dice lei nello stesso momento in cui lui si toglie il cucchiaino dalla bocca e chiede: “Cos’è?”
Profumo di vaniglia
di Marco Signorelli
“Macarons alla vaniglia” risponde automaticamente, senza distogliersi dalla preparazione dei complicati dolcetti francesi. L’affermazione di lei resta
in sospeso, come un fumetto che aleggia sopra le loro teste. Lui attende qualche secondo, non troppi, ma abbastanza per far credere che stia pensando, poi dice “Beata te che lo sai! In questo
momento non credo di sapere nulla di nulla, anche tutto quello che sapevo prima è svanito.” Lei sorride, la cosa le deve sembrarle buffa. Lui ha sempre sostenuto di essere padrone di ogni
situazione, in grado di affrontare qualsiasi problema o avversità, ma, proprio quando deve dimostrarlo a lei, non sa più come comportarsi. Lei per prima alza lo sguardo e lo fissa, dritto negli
occhi, prima di dire “Allora non stare li seduto! Dammi una mano che devo prepararne una cinquantina” e gli passa un sac a poche vuoto. Lui lo riempie con cura anche se la prima strizzata non è
ben dosata; ci vogliono diversi tentativi prima di ritrovare gli automatismi e la perizia dimenticata. Non la guarda direttamente, ma percepisce lo sguardo di lei sulle sue mani. Lei lo sta
spiando per controllare come le muove, quello che sta facendo e solo quando si sente lo sportello del forno aprirsi può rilassarsi. In quel momento lei è soddisfatta di come sta sistemando la
farcitura.
“Per chi sono?” chiede guardandola estrarre una teglia ricolma di rondelle di meringa.
“Per la cena del gemellaggio. Macarons, meringa ai lamponi e torrette di cioccolato ai marrons glacés.” Mentre la ascolta sente tutti i profumi che avvolgono quella cucina, la vaniglia e il
limone sovrastano quello del cioccolato. In altri momenti avrebbe potuto sentire la salvia e il rosmarino e, se fosse stato particolarmente fortunato, l’origano e il pane appena sfornato.
“Come dolci non c’è male” Senza accorgersene sta preparando una nuova farcia. Aggiunge della farina di mandorle nella crema alla vaniglia ed inizia la fase di incorporare il tutto in una amalgama
soffice e delicata. Lei non dice nulla, si pulisce le mani in un tovagliolo e passa a guarnire la meringa con i lamponi.
“Antipasti con prodotti locali, paccheri in crema di fave e pecorino, linguine con spuma di baccalà all'olio e crema di capperi, torta salata al radicchio poi segue un arrosto di vitello al latte
con patate al forno, pollo al curry e yogurt, gamberi e patate con pomodorini caramellati al sale dolce di Cervia” Questa volta è lui che sorride mentre farcisce i nuovi Macarons e, mentre le
mani sono occupate, dice lievemente “Un menù leggero e poco pretenzioso.” Poi aggiunge “ Papà ne sarebbe contento” lei si ferma e lo guarda prima di annuire.
“Si, lo sarebbe… in questo momento lo sarebbe di certo”
Non sa che dire; nei suoi occhi vede la stessa espressione delusa di suo padre quando gli comunicò che non avrebbe continuato a gestire il ristorante. Era giovane, arrogante, agitato con mille
progetti e nessuno che lo trattenesse in quel luogo. Per quanto si sforzasse non riusciva a vedersi nascosto nella cucina di un ristornate di un paesotto provinciale. Il tempo lo ha fatto
maturare, lo ha reso più consapevole, ma non è riuscito a placare l’insoddisfazione di una vita colma di successi.
Nella sua mente ci sono troppi pensieri, troppe domande a cui non sa dare una risposta e troppe risposte senza nessuna domanda. Si rifugia nella preparazione dei dolci, una scusa per non dover
pensare. Pian piano tutta la sua attenzione viene occupata dal piacere di preparare i piatti, la decorazione e la presentazione necessitano di un equilibrio delicato, in agguato c’è sempre la
paura dell’esagerazione e della pretenziosità.
Solo il rintocco delle campane segnala lo scandire del tempo. “Perché?” Dice mentre sistema le ultime torrette di cioccolato sul vassoio di carta. Lei lo guarda e si passa velocemente le dita
sulla guancia, sporcandosi inevitabilmente con una spessa linea di farina. “Perché cosa?”
“Perché non ho fatto il cuoco!”
“Avevi bisogno del tuo spazio per crescere. Dovevi cercare la tua strada, le tue priorità, la tua serenità. Tuo padre era fiero di te, ti ha sempre compreso” ora sembra che lei stia ricordando un
momento passato. Lo sguardo guarda fuori dalla finestra, ma si comprende che non sta guardando il passerotto che cerca ramoscelli nel vaso dei gerani. “Una sera mi ha detto che ti voleva bene e
che era fiero di quello che stavi facendo. Alle mie battute acide mi ha zittito affermando che era giusto così; che cercavi qualcosa d’altro e dovevi arrivarci da solo!”
Annuisce mentre la ascolta; le sue parole lo scaldano, sembra di sentire suo padre, sentire il suo profumo di cipolle e pomodoro e pasta fresca e prezzemolo e salvia. Lo sente presente, una
presenza tangibile tra quelle mura così famigliari. “Bisogna vedere se l’hai trovato” conclude improvvisamente lei.
Ecco una…no, ecco la risposta.
“Ora si!” dice annusando l’aria della cucina e cercando la ricetta per il famoso soufflé tartufato al formaggio “Ora si”.